VACCINI – DANGER!!! Modifiche nel genoma

Pronto Soccorso giuridico per la tutela dei diritti inviolabili

VACCINI – DANGER!!! Modifiche nel genoma

Marzo 28, 2022 Blog 0

Dunque potrebbero  questi vaccini contro la Covid19 provocare modificazioni del genoma delle cellule in cui le particelle del vaccino vanno a finira?

In realtà le note esplicative di EMA ed AIFA nonché i fogli illustrativi di questi prodotti affermano che non sono sati condotti studi di genotossicità e cancerogenicità, eppure la corsa a smentire una tale possibilità è stata così precipitosa e persino perentoria da lasciare pochi dubbi che realmente  potesse essere diverso da quanto affermato da questi autorevoli enti.Ma è veramente come dicono case farmaceutiche e di rimando enti di controllo dei farmaci? Riportiamo in sintesi un articolo del dottor   Ken Biegeleisen M.D., Ph.D.childrenshealthdefense.org
L’interazione tra virus e cellula ospite è generalmente definita da due tipi distinti di interazione.Storicamente, il primo tipo di interazione (scoperto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo) è quello che oggi, a posteriori, chiamiamo “infezione produttiva.”In questo caso, il virus si riproduce e uccide la cellula, rilasciando la sua numerosa progenie ad infettare altre cellule.
Era stato solo negli ultimi anni del XX secolo che si era capito che esiste un secondo tipo di interazione, di natura molto diversa, conosciuta come interazione “di trasformazione” (chiamata anche infezione “latente“). In un’interazione di trasformazione non c’è alcuna replicazione.Invece di riprodursi, il singolo materiale genetico virale  usa uno dei suoi tanti trucchetti genetici per ‘intrufolarsi’ in uno dei 46 cromosomi della cellula ospite.Lì, il DNA virale rimane, a volte, anche per tutta la vita della cellula.
Con alcuni tipi di virus, come gli herpesvirus, il cromosoma virale se ne sta lì, all’interno del cromosoma dell’ospite, apparentemente senza fare nulla, a meno che e fino a quando uno stimolo non lo fa nuovamente “uscire” e lo induce a a replicarsi. Questo fatto genera lesioni  alle labbra (herpesvirus tipo 1) o ai genitali (herpesvirus tipo 2).Un gran numero di pubblicazioni ha documentato che molti, forse la maggior parte, degli esseri umani ha all’interno del proprio sistema nervoso cellule che ospitano tranquillamente infezioni latenti da herpesvirus, anche se la maggior parte di loro non avrà mai un’irritazione tipica.È noto che l’herpesvirus di tipo I, allo stato latente, risiede nel ganglio trigeminale, all’interno del cranio, vicino al midollo spinale. Si crede che in questo stato latente sia perfettamente innocuo.Altri virus, tuttavia, non sono così innocui allo stato latente.Un buon esempio è SV-40, un virus del DNA noto per essere in grado di causare il cancro in molte specie di mammiferi. SV-40 infetta le cellule, ma, di solito, non si replica.Invece, inserisce il proprio codice genetico in uno dei cromosomi della cellula (un processo chiamato “integrazione“) e, da questa nuova base operativa,  converte la cellula da normale, soggetta cioè alle normali forme di controllo della crescita, a cellula maligna che non rispetta nessuno dei controlli della crescita dell’organismo ospite e causa quindi il cancro.
Questa alterazione, da normale a cancerogena, viene definita “trasformazione maligna.”Ma il termine “trasformazione” non è sinonimo di malignità. Anche se una “trasformazione” può essere dannosa in un certo numero di modi (e non limitarsi solo al cancro), in altri casi potrebbe essere del tutto irrilevante (almeno apparentemente).In casi speciali, potrebbe persino essere benefica.
Può un vaccino basato sul DNA “trasformare” una cellula umana in qualcosa di geneticamente diverso?Tenendo a mente tutto questo, possiamo ora porci la domanda se un vaccino basato sul DNA possa, o meno, “trasformare” una cellula umana in qualcosa di geneticamente diverso.
Questa non è una domanda da poco, perché se la risposta è “si” e se la trasformazione si dimostra dannosa, allora questo danno può essere trasmesso alle generazioni successive, per sempre.Nel perido 1972- 1978 alla New York University School of Medicine il  laboratorio stava cercando di trovare una risposta ad una domanda che, all’epoca, era di grande attualità: nelle “infezioni produttive,” quelle dove un virus si replica all’interno delle cellule e, alla fine, le distrugge, potrebbe comunque verificarsi un’integrazione del DNA virale nei cromosomi delle cellule ospiti?
Tale domanda la si era posta perché, a quel tempo, nella storia della virologia, era diventato assolutamente chiaro che molti e diversi tipi di virus potevano trasformare molti e diversi tipi di cellule in cellule carcenogeniche.Queste cellule, se trapiantate in ospiti animali, davano poi origine a proliferazioni cancerose che uccidevano rapidamente l’animale.
Questo tipo di trasformazione maligna mediata da virus inizia sempre con l’inserimento (cioè l’integrazione) del DNA virale nei cromosomi delle cellule ospiti.(Sì, stiamo parlando di quello che le aziende produttrici dei vaccini ci “assicurano” non succederà dopo la vaccinazione con i loro nuovi prodotti “approvati per l’uso d’emergenza“).Una volta che questi geni virali si sono insediati nei cromosomi della cellula ospite, possono potenzialmente prendere il controllo del metabolismo cellulare, piegandolo ai loro scopi.
Quindi, la domanda che i virologi si ponevano negli anni ’70 era questa: l’inserimento di geni virali nei cromosomi delle cellule ospiti è un processo associato unicamente a trasformazioni cancerose? Oppure l’inserimento di geni virali nei cromosomi della cellula ospite potrebbe avvenire in qualsiasi tipo di infezione virale, sia che si tratti di un’infezione “produttiva,” che porta alla moltiplicazione virale e alla morte cellulare, sia che si tratti di un’infezione “trasformante,” in cui non si verifica alcuna replicazione del virus?Si era cercato di rispondere a questa domanda studiando l’infezione di cellule di mammiferi da parte di herpesvirus. Furono    pubblicati tre articoli, tutti su importanti riviste di virologia. Questi articoli, elencati di seguito, sono una lettura forse un po’ troppo ostica per chi non ha familiarità con la terminologia specifica. Ma, per gli interessati, ecco i  riferimenti:1. Rush MJ & Biegeleisen K. Association of Herpes simplex virus DNA with host chromosomal DNA during productive infection. Virology, 69:246-257 (1976). https://doi.org/10.1016/0042-6822(76)90211-7.2. Rush MJ, Yanagi K & Biegeleisen K. Further studies on the association of Herpes simplex virus DNA and host DNA during productive infection. Virology, 83:221-225 (1977). DOI: 10.1016/0042-6822(77)90227-6.3. Yanagi K; Rush MG; Biegeleisen K. Integration of herpes simplex virus type 1 DNA into the DNA of growth-arrested BHK-21 cells. Journal Of General Virology, 44(3):657-667 (1979). DOI: 10.1099/0022-1317-44-3-657.Il primo lavoro aveva dimostrato che i geni degli herpesvirus venivano integrati nei cromosomi delle cellule ospiti, ma aveva lasciato senza risposta alcune importanti domande riguardo alla natura fisico-chimica del legame tra il DNA virale e quello dell’ospite.Tuttavia, con il terzo lavoro, ogni ragionevole dubbio sull’integrazione del DNA virale nei cromosomi dell’ospite era stato fugato.Un altro fronte di indagine che, più o meno nello stesso periodo, veniva seguito nel laboratorio di W. Munyon, aveva portato all’identica conclusione. Munyon e i suoi collaboratori avevano studiato un enzima chiamato “timidina chinasi.” Cosa faccia questo enzima è estraneo a questa discussione. Ciò che conta è che il gene che codifica questo enzima si trova normalmente sia nei cromosomi umani che in quelli degli herpesvirus.Munyon e il suo team disponevano di un ceppo di cellule umane mutanti prive del gene della timidina chinasi. Avevano quindi infettato queste cellule con un herpesvirus precedentemente irradiato, reso cioè incapace di moltiplicarsi all’interno delle cellule e di ucciderle.Ma il virus aveva comunque il proprio gene della timidina chinasi. Dopo l’infezione, le cellule avevano dimostrato di aver improvvisamente acquisito quell’enzima, anche se, per il fatto di essere cellule mutanti, avrebbero dovuto essere sprovviste di quello specifico enzima. Dal momento che il virus era stato irradiato, non aveva ucciso le cellule, che avevano continuato a crescere in laboratorio.Otto mesi e centinaia di generazioni dopo, la progenie di quelle cellule produceva ancora timidina chinasi!Quindi, se un’azienda produttrice di vaccini DNA sostiene che il loro vaccino farà sì che le mie cellule producano temporaneamente la proteina spike del coronavirus, ma in nessun modo le “trasformerà” in modo permanente, cosa dovrei pensare? O forse non dovrei pensare?Finora abbiamo parlato solo di herpesvirus. Il nuovo vaccino della Johnson & Johnson usa un adenovirus geneticamente modificato e “riproduttivamente incompetente” come portatore del gene della proteina spike del coronavirus.Dovremmo preoccuparci? Dopo tutto, l’inaspettata integrazione dei geni virali può essere una peculiarità solo dell’herpesvirus, e non dell’adenovirus, giusto?Sfortunatamente, non è proprio così. Molti laboratori contemporaneamente alle ricerche sugli herpesvirus hanno condotto analoghe ricerche sugli adenovirus. Ecco l’ esempio di un lavoro:Schick J, Baczko K, Fanning E, Groneberg J, Burgert H, & Doerfler W (1975). Intracellular forms of adenovirus DNA: Integrated form of Adenovirus DNA appears early in productive infection. Proc Nat Acad Sci USA, 73(4):1043-1047. DOI:10.1073/pnas.73.4.1043. PMID:1063388. PMCID:PMC430196.Proprio come con i coronavirus, si conoscono decine di tipi di adenovirus, la maggior parte dei quali sono classificati come “virus del raffreddore.” Ma alcuni adenovirus possono causare malattie molto più gravi, compreso il cancro.Negli anni ’70, gli studiosi che si occupavano di adenovirus si erano posti le stesse domande dei ricercatori di herpesvirus. Ed erano arrivati alle stesse conclusioni: nell’”infezione produttiva,” quella dove l’adenovirus deve solo replicarsi e distruggere la cellula, c’è a tutti gli effetti anche un’ampia integrazione di geni virali nei cromosomi della cellula ospite, anche se non c’è alcuna apparente ragione biologica per cui il virus debba farlo.Nessuna garanzia, nonostante quello che dicono i produttori di vaccini.Sembra che in molte, forse nella maggior parte delle infezioni virali, l’integrazione del DNA virale nella cellula ospite sia una possibilità molto realistica. Quando questo accade, non c’è assolutamente alcun modo per “garantire” che il codice genetico della cellula ospite non venga riscritto.Una domanda allora sorge spontanea: Se questo è il caso, perché i produttori di vaccini ci “assicurano” che i loro prodotti, scarsamente testati, sono geneticamente “sicuri“?Suggerirei tre possibili spiegazioni, tutte ugualmente riprovevoli:1. Può essere che i ricercatori di queste aziende, semplicemente, non conoscano la storia della virologia. Cosa si potrebbe dire? “Quelli che non imparano dalla storia sono destinati a ripeterla.”2. Può essere che tutto ciò che nell’industria farmaceutica non migliora il rendiconto dei profitti trimestrale sia a forte rischio di essere ignorato.3. Può essere che, nel mondo farmaceutico, definire “sicuro” un nuovo vaccino significhi solo che l’azienda ha le risorse legali per affrontare qualsiasi eventuale richiesta di risarcimento.Quale di queste tre possibili spiegazioni è quella corretta? O lo sono tutte e tre? In ogni caso, ora sapete perché non farò mai il vaccino Johnson & Johnson.E i vaccini a RNA? Abbiamo discusso dei vaccini a DNA. Che dire dei vaccini a RNA, come quelli di Pfizer e Moderna?I vaccini a RNA sono ritenuti dai loro promotori geneticamente “sicuri” perché l’RNA non può essere direttamente incorporato nei cromosomi umani. È vero? Sì. Ma questo li rende “sicuri“? Probabilmente no. Quello che le aziende dei vaccini hanno dimenticato di dirvi è che le nostre cellule dispongono di diversi tipi di “trascrittasi inversa,” che possono potenzialmente convertire l’RNA vaccinale in DNA.
Nel dicembre 2020, un team di ricercatori di Harvard e del MIT (Zhang et al) ha pubblicato un articolo sul server di preprint bioRxiv, ospitato dal Cold Spring Harbor Laboratory, che mostra che, con ogni probabilità, l’incorporazione dei geni della proteina spike virale nei cromosomi delle cellule infette ha effettivamente luogo ed è mediata dal tipo denominato “LINE-1” di trascrittasi inversa umana. (Per saperne di più sullo studio Harvard-MIT e le sue implicazioni, leggete questo articolo precedentemente pubblicato da The Defender, e tradotto su CDC).Per essere chiari, questo non era uno studio sul vaccino, ma uno lavoro in cui le cellule erano state deliberatamente infettate con virus integro, non inattivato, proprio come accade in natura, e che, apparentemente, indurrebbe una trasformazione genetica delle cellule.Questo, suggeriscono gli autori, potrebbe spiegare l’osservazione, ormai frequente, della “positività” al test COVID-19 di persone che, chiaramente, non soffrono di nessuna patologia. Cioè, l’organismo di queste persone starebbe continuando a produrre la proteina spike del coronavirus direttamente dai geni virali ormai definitivamente incorporati nel suo codice genetico.
Non  possiamo  dunque trascurare le assicurazioni, ovviamente ingiustificate, dei produttori di vaccini che l’alterazione del nostro codice genetico “non accadrà.” Una tale dichiarazione mette in dubbio (a) la loro competenza in materia e (b) la volontà di accettare le conseguenze delle loro azioni.Inoltre, la trascrizione inversa è una modalità ben nota della normale mobilità dei geni umani da cromosoma a cromosoma, un processo affascinante il cui studio risale al lavoro pionieristico di Barbara McClintock negli anni ’30. È quindi ben noto, da quasi un secolo, che gli effetti dello spostamento genico dipendono molto da dove vengano spostati e da cosa esattamente e precisamente venga spostato.